Peste del 1690

L’arrivo di un barcone di contrabbando

Verso la fine di settembre del 1690, al tempo della dominazione spagnola nel Regno di Napoli, di cui la Puglia era parte, un barcone pieno di merci di contrabbando, proveniente da Cattaro, città posta sull’altra sponda dell’Adriatico, giunse nei pressi di Torre Ripagnola in Polignano.

Ad acquistare per primo il carico di pelli, cuoiame, tabacco, tele e sale fu il conversanese Giuseppe Schiavelli, agente e uomo di fiducia di Giulio Antonio II Acquaviva d’Aragona, conte di Conversano.

Altra merce fu venduta presso Cala Incina e Cala Pantano ad altri acquirenti, tra cui un tale Stefano Scherdi, militare in servizio al Castello di Monopoli. Il barcone rimase lungo la costa per circa dieci giorni, ritornando a Cattaro con un grosso carico di legumi.

La Peste a Conversano e la fuga del Conte

Nel novembre 1690 iniziò a circolare la voce che a Conversano c’era la peste e che a portarla era stato lo Schiavelli, amico del Conte, che intanto con la giovane moglie incinta al settimo mese, la madre duchessa Caterina di Nardò, in tutta fretta era fuggito a Napoli.

La notizia della peste in Terra di Bari giunse alle autorità regie che, memori del contagio del 1658, attivarono subito i “deputati della salute” per accertare i fatti. Preoccupato per il rischio di contagio,

Il primo gennaio 1691 il magistrato della salute ordinò il trasferimento forzato sull’isola di Nisida del Conte, accusato di non aver denunciato in tempo la diffusione della peste.

Intanto a Conversano le autorità ordinarono che il Castello del Conte fosse sigillato, le porte e le finestre murate e le cinque sorelle rinchiuse nel Monastero di S. Benedetto.

Il 1 febbraio 1691 il Conte moriva nel lazzaretto di Nisida. La sua bara venne cosparsa di pece e calce viva e i suoi vestiti bruciati “sebbene fosse un Adone per bellezza, un Marte per bellicosità, un Plutone per alterigia e crudeltà”.

Il suo aiutante Schiavelli, resosi conto di non essere più protetto, cercò di fuggire da Conversano forzando il cordone sanitario, ma venne fermato a fucilate e arrestato.

La condanna a morte dell’aiutante del Conte

A Bari venne interrogato sotto tortura, con bastonate e con il “tratto di corda” e dopo aver subito le atroci pene, confessò tutto, confermando di aver comprato la merce infetta arrivata di contrabbando. Confessò di aver nascosto le casse in alcuni monasteri.

La mattina del 27 febbraio fu portato fuori la “porta di Bari”, legato al palo e fucilato. Il suo corpo venne bruciato. Nel giugno 1691 lo Scherdi, militare del Castello di Monopoli, prima di spirare a causa dell’infezione, confessò di aver acquistato anche lui la merce infetta di contrabbando.

Per non diffondere l’epidemia di peste fu necessario l’isolamento delle aree infette che comprendevano i territori di Monopoli, Fasano, Castellana, Conversano, Polignano, Mola, Bari, Bitonto e Palo. Alla popolazione venne ordinato con i bandi emanati dal Marchese della Rocca di non allontanarsi dalle proprie case, bloccando quasi tutte le attività, riducendo

i commerci, anche quelli marini. Venne creato un vero e proprio sbarramento umano fatto di guardie armate di archibugio, disposte sui cordoni sanitari lunghi diverse miglia.

La costa venne sorvegliata da due navi ben armate. Chi non si atteneva alle regole veniva arrestato e condannato a morte.

La difesa dalla peste, le morti e le gravi conseguenze

Per non diffondere il morbo nei paesi vicini furono impiegati oltre duemila soldati, in servizio notte e giorno, a cui veniva portato il cibo sul posto. La peste in Terra di Bari scatenò le paure negli abitanti del Regno di Napoli.

Molti comprarono grosse quantità di farina, cereali e legumi, i possidenti ritirarono ingenti somme di denaro dai “banchi”, le classi popolari avvertirono grossi disagi, migliaia di marinai, pescatori e“rocchettatrici di seta” rimasero senza lavoro, i viveri scarseggiarono, i prezzi dei prodotti aumentarono. Alla fine del contagio le perdite arrivarono a 116 mila ducati.

A causa del morbo morirono migliaia di persone, tra cui numerosi medici, cerusici, speziali di medicina, militari, becchini, preti e religiosi.

Le indagini accertarono che molta merce infetta e di contrabbando era stata occultata in diversi conventi e monasteri. In seguito alla peste del 1651 e a quella del 1690, gli abitanti di Monopoli si ridussero da 12.400 a circa 9.000.

 

  • dal libro MONOPOLI 2020 di Stefano Carbonara

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