Il Dialetto Interpreti Dizionari

Il dialetto e i suoi interpreti

Il dialetto rappresenta “la nostra storia più certa e la testimonianza più attendibile della nostra civiltà, essendo il documento più autentico trasmessoci dai nostri antenati, così com’era custodito nella loro saggia mente e nel loro cuore”.

 

 Luigi Reho

Così afferma il prof. Luigi Reho (1916-2013), massimo studioso del dialetto, nella presentazione del Dizionario Etimologico Monopolitano edito nel 1988 in due volumi, in cui sono riportate le regole di base della nostra lingua dialettale, i lemmi, i detti e i proverbi più comuni.

Sul Dizionario di cui ho copia ha lasciato questa dedica: “Esprimiti nella lingua italiana nel miglior modo possibile, ma non disprezzare e ama il dialetto”.

 

 

 

Per Luigi Rizzo, detto Gigi, fedele discepolo di Reho, il dialetto deve ritenersi “il DNA di una specifica comunità in un preciso luogo geografico”.

Il dialetto, quindi, è figlio della storia, dei tempi e degli uomini.

Le parole, i verbi e le articolazioni derivano dall’influsso e dalle contaminazioni degli abitanti e dei dominatori che nel tempo si sono succeduti nella nostra terra, dagli slavi ai greci, dai messapi ai peucezi, dai latini agli arabi, dai germani agli spagnoli, dai francesi ai portoghesi.

La Metafonia è indicata nei diversi accenti e segni che accompagnano le parole. Le lingue che hanno maggiormente influenzato il lessico monopolitano sono Latino, Francese, Spagnolo, Portoghese, Rumeno, Greco e Arabo.

Le fonti più antiche del dialetto sono la Selva d’Oro di Leonardo Cirullo, il Libro Rosso della Città di Monopoli del ‘400, le Reformanze dell’Università di Monopoli del 1559, i libri e i verbali del Capitolo Cattedrale e delle Parrocchie del ‘700, i vecchi Atti Notarili.

Le fonti del Novecento sono rappresentate da un numero del giornale La Campana del 1909, dalle liriche di Amedeo Bregante, dagli scritti del maestro Carlo Carparelli e del pittore Vincenzo Brigida, dai libri dei professori Sebastiano Lillo e Giacomo Campanelli, dai Dizionari del prof. Luigi Reho e di Vincenzo Saponaro, dal libro sui nomi dialettali dei pesci di Peppino Lovecchio.

I protagonisti attuali sono Antonio D’Arienzo, Ferruccio Ferretti, Gianni Comes, Gigi Rizzo, Cosimo Loperfido, che contribuiscono a mantenere viva la cultura dialettale con la declamazione e il canto di poesie, farse, commedie, proverbi e stornelli.

Tra i vari studiosi e autori dialettali sono evidenti i diversi modi dello scrivere, in particolare per quanto riguarda i caratteri e gli accenti legati alla fonetica. Ma anche ai diversi luoghi, paese vecchio, città, campagna, corrispondono versioni e termini dialettali leggermente differenti.

Non è, comunque, facile scrivere e parlare il dialetto in modo corretto”. I nostri avi lo parlavano comunque da sempre prima dell’italiano.

Stefano Carbonara

 



Le regole del dialetto

In qualità di attuale cultore, il nostro bel dialetto lo considero il DNA che accomuna tutti coloro nati e cresciuti a Monopoli che parlano e conoscono la lingua che fu dei nostri avi e padri.

Mi preme specificare alcune cose.

In primis, essendo il territorio di Monopoli molto vasto, con le sue 99 contrade (oggi 85), abbiamo in effetti due differenti modi di parlare il dialetto: quello dell’agro con le sue e aperte e quello dell‘urbe con le sue e chiuse. Nel centro storico, fra i residenti rimasti, si parla un dialetto ancora più arcaico.
Tutti possono imparare il dialetto oralmente, ma se vogliamo scriverlo bisogna necessariamente conoscere alcuni elementi fondamentali e cioè la distinzione dei suoni delle varie vocali. In seguito viene riportata una tabella esplicativa. Il dialetto è una lingua vera e propria e come tale ogni parola è formata da sillabe, le sillabe sono sempre formate da consonanti e da vocali, le vocali sono suoni e le consonanti sono rumori.

La musicalità del nostro dialetto è data proprio dai vari suoni che diamo alle varie vocali. Bisognerebbe evitare di scrivere parole con tante consonanti senza vocali, perché là dove non le sentiamo ci va sempre la e senza nessun accento.

Tutte le parole devono sempre finire con la vocale e, che rimane muta. Per esempio per scrivere ortolano non dobbiamo scrivere urtlen come si pronuncia, ma urteléne, con la prima e la terza e non pronunciate, un po’ come si fa con il francese.

Il prof. Luigi Reho, dopo lunghissimi studi, ci ha lasciato un’opera monumentale dal titolo: Dizionario Etimologico Monopolitano, dove sono indicate le regole per poter tramandare ai posteri i vari suoni del nostro dialetto in modo corretto. Il dizionario è stato scritto usando la sua fonetica, quella dell’agro, essendo lui nato e cresciuto in una delle contrade e la prima lingua che ha imparato da sua madre è stato proprio il dialetto, allora unica parlata in famiglia.

Nei vari lemmi, poesie, proverbi che seguiranno, ho voluto semplificare qualche accento per una più facile lettura e comprensione. La fonetica usata è quella dell’urbe, il dialetto parlato in città, vale a dire la e con l’accento acuto pronunciato con suono chiuso, difforme da quello riportato nel Dizionario.

Mi sono permesso di semplificare alcune regole, conscio, per esperienza, delle difficoltà nell’uso di esse, al fine di avvicinare maggiormente i neofiti alla scrittura e alla lettura del dialetto in modo più sciolto.

 


Luigi Rizzo

detto Gigi

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