Racconto di Carlo Barnaba, figlio di Francesco, docente universitario, residente con la famiglia negli Stati Uniti.
Quella mattina del 1° novembre 2022, un messaggio WhatsApp mi catapulta nel peggiore degli incubi per chi, come me, vive e lavora lontano dall’Italia. “Papà ha avuto un incidente con il trattore, siamo a Bari in Pronto Soccorso, aspettiamo notizie dai medici”.
Cerco di non svegliare nessuno – principalmente i miei tre bimbi – e chiamo immediatamente Marianna, mia sorella. “Siamo in ospedale, ha il bacino schiacciato”. Cerco di tranquillizzare mamma ( Rosa Mavilio) capisco che non erano presenti al momento dell’incidente e hanno pochi dettagli. Chiudo la chiamata e aspetto. “Papà è in coma farmacologico, è gravissimo”. Un paio d’ore dopo sono già a Detroit, in aereo verso Roma.
Cosa è successo quella mattina? Siamo in piena campagna olivicola, papà come sempre va a mille all’ora, anche alla sua veneranda età (76 anni).
È il 1° novembre. Anche se festivo, ha sempre qualcosa da fare. Giovanni Pertosa, un bracciante che lavora in azienda ormai da decenni, sta trattando il terreno con diserbante a Masseria Spina, alla periferia nord della città.
Per facilitare l’approvvigionamento di acqua per il trattamento, papà lascia una cisterna di 3.000 litri piena d’acqua su un rimorchio. Terminati i lavori a Masseria Spina, Giovanni provvede a trattare il terreno della proprietà “Il Lamione”, in contrada Cristo delle Zolle, a poche centinaia di metri dalla provinciale Monopoli-Alberobello.
Quella mattina, papà decide di trasferire il rimorchio con cisterna da Masseria Spina a “Il Lamione”, non prima di averlo riempito a metà presso il frantoio di proprietà di suo fratello Vito.
Ricostruisco questi eventi a posteriori, anche attraverso le parole di mia madre Rosa e di Giovanni Pertosa. Quella stessa mattina, mamma redarguisce papà per aver indossato delle vecchie scarpe con suola consumata e non gli stivaletti da lavoro. Schermaglie tra marito e moglie, sulle quali mio padre – borbottando perché sempre di fretta – ha la meglio.
Giovanni non si capacita della scelta di lasciare il rimorchio al Lamione. “Non lo lascia mai lì, perché riempio la pompa [così viene chiamata la cisterna da 600 litri che si aggancia al trattore] direttamente alla masseria”. Saranno piccole ma sciagurate coincidenze.
Per entrare al Lamione, c’è una sbarra di metallo a mo’ di cancello che separa la strada Cristo delle Zolle dal vialetto non asfaltato che conduce alla proprietà. L’accesso è in leggera discesa e rialzato rispetto al livello del terreno.
Qui gli eventi si fanno confusi. Papà scende dal trattore – un Massey Ferguson con cabina – senza spegnerlo, ma con freno a mano. Mentre è intento ad aprire la sbarra, il trattore avanza, spinto probabilmente sia dall’essere in discesa, sia dal peso della cisterna e dal movimento dell’acqua.
In un tentativo estremo di “salvare il trattore” – così lo commenta papà settimane dopo – resta senza via d’uscita tra il trattore stesso e il rimorchio. A quel punto “non potevo andare da nessuna parte”: il rimorchio passa sul suo corpo, supino in un estremo tentativo di protezione.
Dirimpetto al Lamione, Quirico Abbracciavento, coltivatore diretto, il suo amico Carlo Angiulli e il nipote Simone Diroma stanno chiacchierando. Intravedono papà arrivare col trattore e il rimorchio. Pochi secondi dopo, un forte boato li coglie di sorpresa. Dopo aver schiacciato papà, il trattore con annesso rimorchio avanza per qualche altro centimetro, si inclina di un lato, adagiandosi sul suo corpo e causando la fragorosa caduta e rottura della cisterna.
I tre agricoltori capiscono immediatamente che qualcosa non va, corrono sul posto. Trovano papà in condizioni disperate, sovrastato dal rimorchio, con un piede – il sinistro – incastrato tra la ruota e il terreno.
Dopo aver contattato prontamente il 118, Simone con un trattore di sua proprietà, prelevato dalla rimessa, riesce a tirare e sollevare il rimorchio che schiaccia il corpo di papà, con l’aiuto dei sopraggiunti Carlo e Quirico.
“Francesco era cosciente”, racconta Carlo, che, avendo conoscenza ed esperienza, riesce ad eseguire le manovre di primo soccorso. Si riveleranno fondamentali per evitare danni involontari durante l’estrazione del corpo.
“Qualche minuto di ritardo e papà sarebbe morto per lo schiacciamento della gabbia toracica e dei polmoni”.
Il boato della cisterna attira anche Vincenzo Ostuni, in passato bracciante agricolo presso l’azienda di papà, che informa di persona la mia mamma dell’accaduto e la accompagna sul luogo dell’incidente.
Nel frattempo, l’ambulanza è già arrivata; trasporta papà al Policlinico di Bari. Mamma arriva proprio in quel momento e, insieme a mia sorella Marianna appena sopraggiunta, si dirigono a Bari.
Se papà è ancora qui oggi tra noi, certamente acciaccato, ma pieno di energia e motivazione, lo deve al lavoro eccezionale del personale del Policlinico (benedetta sanità pubblica!).
Il reparto di Anestesia e Rianimazione 1 “S. De Blasi”, è assistito dal team del dott. Mario Ribezzi.
Papà ha subito fratture multiple toraciche, il bacino è fratturato in entrambi i lati e una caviglia è anch’essa fratturata. “Sindrome da schiacciamento”, il termine tecnico per questo tipo di trauma toracico, che ha causato una forte pressione sul cuore. Viene eseguita una manovra cardiopolmonare seguita da induzione in coma farmacologico.
Arrivo a Bari il 2 novembre e rimango a Monopoli fino al 19 per seguire la vicenda.
I primi dieci giorni sono difficilissimi. Con mia sorella Marianna accompagniamo mamma al Policlinico tutti i pomeriggi. Poche centinaia di metri che separano il parcheggio dal reparto di rianimazione, una passeggiata piena di paura e speranza – sottobraccio a mamma – che non potrò mai dimenticare.
Papà è attaccato ad un ventilatore, prima attraverso un orribile tubo, che sarà sostituito più avanti da una tracheotomia. I medici, gran parte miei coetanei, e il personale infermieristico sono gentilissimi, ma molto cauti con la prognosi.
Il pomeriggio stesso dell’incidente, mia sorella si attiva per non interrompere il lavoro in azienda. Così il giorno dopo, Giovanni Pertosa è al fondo ” Il Lamione” per il trattamento e due giorni dopo convochiamo gli altri braccianti (per la maggior parte di Ceglie Messapica) per riprendere la raccolta delle olive, interrotta.
“L’azienda non può fermarsi, papà non avrebbe voluto questo. Sta lottando tra la vita e la morte, e se in queste ore non dovesse superare l’incidente, almeno stiamo onorando il suo lavoro “, queste le parole di mia sorella, di incoraggiamento agli operai, anche loro visibilmente scossi dall’accaduto.
Dopo un periodo di estrema criticità, dovuto alla possibile insorgenza di infezioni polmonari e insufficienza renale, riesce a stabilizzarsi. Esce dal coma farmacologico 14 giorni dopo il ricovero, ma sarà un lungo risveglio, che include lo “svezzamento”, ovvero il lento recupero della funzione respiratoria coadiuvato dal ventilatore.
Il Policlinico lo dimette il 1° dicembre. Viene trasferito all’Ospedale “De Bellis” di Castellana per 15 giorni. È ancora molto confuso, ha bisogno di molte attenzioni, alle quali in buona parte provvede mamma, continuamente al suo capezzale.
Finalmente, il 15 dicembre – 45 giorni dopo l’incidente – viene trasferito alla clinica “Monte Imperatore” a Noci per iniziare il processo di riabilitazione. Mamma gli è sempre accanto, giorno e notte.
Il 14 febbraio 2023 papà torna a casa. È lucido – lucidissimo! Continua la fisioterapia presso la clinica “Fisiomedica 2000” dei dottori Lacatena a Monopoli. È molto loquace e riceve visite da amici e familiari che gli fanno molto piacere. Lo trovano decisamente euforico: la vita gli ha dato un’altra possibilità che vuole godersi appieno.
In quei giorni in cui mi sono catapultato nuovamente a Monopoli – da cui mi sono allontanato per motivi di studio e professionali oltre vent’anni fa – ho riscoperto quel microcosmo agricolo monopolitano che circonda papà e chi, come lui, si dedica ai campi.
Ho trovato tanta, tantissima disponibilità e affetto, anche da persone che a malapena mi conoscevano, ma che apprezzano “Ciccio”, come viene affettuosamente chiamato papà.
A nome della nostra famiglia, ringrazio con affetto e riconoscenza tutti.
Carlo Barnaba, anche a nome di mia sorella Marianna.
Racconto di Quirico Abbracciavento e del nipote Simone Diroma.
La mattina del 1° novembre 2022 siamo nel nostro terreno olivetato, davanti alla rimessa, a circa 50 metri dal posto dell’incidente occorso a Francesco Barnaba.
Ad un certo punto sentiamo un fortissimo rumore proveniente dalla strada.
Accorriamo subito, io, mio nonno e Carlo Angiulli, nostro amico presente sul posto.
All’ingresso del vialetto di accesso al fondo del Lamione, di proprietà di Francesco Barnaba, vediamo il trattore, con dietro il rimorchio e la cisterna piena d’acqua rovesciati sul fianco.
Sotto la sponda del rimorchio notiamo Francesco, rivolto all’insù, schiacciato con il petto.
Appare con viso di colore bianco, con la schiuma in bocca, senza segni di vita.
Telefoniamo immediatamente al 118 del Pronto Soccorso.
Subito corriamo al nostro locale deposito, prendiamo il nostro trattore, allacciamo una grossa fune, e tiriamo il rimorchio da sopra il corpo di Francesco.
Con Carlo, esperto in operazioni di pronto intervento, giriamo il corpo di Francesco in posizione adatta alla situazione di emergenza, per migliorarne la respirazione. Si riprende, respira, grida.
Nonno Quirico si porta immediatamente sulla Strada Provinciale per Alberobello per indicare all’ambulanza in arrivo il luogo dell’incidente.
Dopo 15 minuti, alle ore 8.15, l’autoambulanza ed altra auto del PS di Monopoli, sono sul posto con una dottoressa e 4 infermieri, 2 maschi e 2 femmine.
Liberano il corpo dai vestiti, lo prendono da terra e lo portano sulla lettiga dell’autombulanza.
Collegano le flebo necessarie per calmare i dolori e per attivare le funzioni respiratorie.
Subito dopo la macchina del PS si porta direttamente al Policlinico di Bari.