Fermiamo l’AD, Autonomia Differenziata.
Che vuole la secessione dei ricchi e l’abbandono del Sud.
Siamo qui perché viviamo nel paese dei 452 morti sul lavoro del primo semestre del 2022.
Il Paese della Tav e della Pedemontana da una parte, dall’altra del binario unico Andria-Corato, a causa del quale persero la vita, il 12 luglio del 2016, 23 persone, pendolari, e ne vennero ferite 56.
Siamo il paese dell’abusivismo di Ischia e delle morti causate dalla devastazione del territorio. Siamo il Paese in cui Lorenzo Parrelli, Giuseppe Lenoci e Giuliano De Seta, che sono usciti di casa per andare a scuola, garantiti dalla scuola, non sono tornati più, morti di alternanza scuola lavoro.
Cosa hanno in comune questi dolorosi esempi, apparentemente distantissimi tra loro? Moltissimo: le norme generali dell’istruzione, le infrastrutture, la sanità, il governo del territorio, la sicurezza sul lavoro sono 4 delle 23 materie che – se si concretizzasse il progetto di autonomia differenziata – passerebbero (per le regioni a statuto ordinario che dovessero farne richiesta) alla potestà legislativa esclusiva della regione.
Siamo veramente stanchi che un bambino o una bambina, una donna o un uomo di Reggio Calabria valgano già molto, ma molto di meno di uno di Reggio Emilia. È necessario invertire la rotta di questa diseguaglianza, di questa ingiustizia che né il fatalismo, né la norma possono convincerci ad accettare.
Siamo qui per ribadire un no senza condizioni a questo progetto di autonomia differenziata, che scardinerà il contratto collettivo nazionale, determinerà diritti universali diversi sulla base del certificato di residenza, aumentando ulteriormente le già enormi diseguaglianze tra zone del Paese, contraendo ancor più gli spazi di democrazia, e – diciamolo senza enfasi, ma con consapevolezza: l’autonomia differenziata è un disegno eversivo dell’unità della Repubblica.
Le classi dirigenti, ora la destra al governo, tentano di usare cinicamente la complessità del tema (ricordiamo il leit motiv di Zaia e altri, che parlano di realizzazione della Costituzione) perché, si sa, chi deve procurarsi il pane quotidiano e una casa per sopravvivere ha altro a cui pensare che imbracciare la Costituzione per esigere i propri diritti.
Siamo qui perché il pericolo è imminente e concreto. Il ministro degli Affari Regionali, Calderoli, aveva approntato una legge quadro che avrebbe rese operative le richieste delle 3 regioni che già stipularono pre-intese nel 2018 con il governo Gentiloni (Veneto, Lombardia, ER).
Una legge prontamente declassata a “bozza” o “appunti”, dopo la levata di scudi di chi inneggiava ai Lep. A costoro Calderoli ha risposto in maniera più efficace e clamorosa: ha inserito la procedura per determinare i Lep nell’art 143 della Legge di Bilancio, affidandola – in una visione proprietaria e lontana dalla democrazia costituzionale – ad una commissione governativa che in soli 6 mesi dovrebbe definire i livelli essenziali di prestazione (cioè quello che non si è fatto in 22 anni) e di cui almeno da 13 anni (dal tempo della legge 42 del 2009) si parla, non facendone nulla.
Un tempo record, trascorso il quale la palla passerà in mano ad un commissario.
Del Parlamento nessuna traccia, dei Comuni nessuna traccia, le Regioni chiamate solo attraverso la Conferenza. Mentre i cittadini e le cittadine continuano ad essere ignari e ignare. Il motivo è il solito: non disturbate i grandi manovratori. Ci occupiamo di tutto noi.
Assecondare questa pretesa significa rinunciare alla partecipazione, quindi alla consapevolezza, quindi alla democrazia.
Quella che dovrebbe essere una discussione pubblica e aperta, volta a definire urgenze, bisogni e richieste dei territori si comprime in un provvedimento dell’Esecutivo, calato dall’alto, volto sostanzialmente ad archiviare il problema, legittimando le già enormi diseguaglianze presenti nel Paese.
Per noi dei comitati Per il ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti, non devono e non possono esistere livelli essenziali di prestazione, ma solo Livelli Uniformi di Prestazione, perché sono garantiti e scritti nel comma 2 dell’art 3 della Carta Costituzionale.
In un colpo solo – in un Paese messo in ginocchio dall’1-2 pandemia guerra – si cancelleranno i principi di uguaglianza e di solidarietà, il principio di autonomia sancito dall’art 5 della Costituzione e nel quale – a nostro avviso –risiede il fondamento di illegittimità costituzionale dell’art 116 c.3, così come uscito dalla Riforma del Titolo V.
Con la riforma del Titolo V del 2001 – un “manifesto di insipienza giuridica e politica”, come ebbe a definirlo il compianto prof. Gianni Ferrara – si sono sfigurati il volto del nostro sistema istituzionale, la partecipazione e la democrazia, contribuendo e legittimando a dismisura il gap già esistente tra Nord e Sud, tra territorio e territorio e le enormi diseguaglianze. Con l’autonomia differenziata, l’unità della Repubblica rimarrà solo un enunciato formale.
Dobbiamo avere la forza di ostacolare questo percorso eversivo, di mettere sabbia negli ingranaggi della macchina messa in moto per frantumare la Repubblica.
Noi del comitato per il ritiro di ogni AD, insieme al Tavolo NOAD, dobbiamo esigere da noi stessi la fatica che la coerenza comporta nel perseguire la cancellazione dell’autonomia differenziata.
A noi – dopo quattro anni ininterrotti di studio, impegno, lotta – non bastano più semplici promesse, rassicurazioni senza seguito.
Ma oggi siamo al dunque, e le nostre mobilitazioni e pressioni devono trovare uno sbocco nelle aule del Parlamento, innanzitutto perché esso non sia definitivamente defraudato delle sue prerogative; perché ci si opponga alle procedure tecnocratiche e autoritarie con cui si vogliono definire dall’alto i bisogni delle persone e perché si costruisca un’efficace opposizione ai progetti di Calderoli – dalla questione dei LEP fino al disegno di legge quadro.
Chiediamo con intransigenza che le forze politiche parlamentari facciano tutto il possibile, ma davvero tutto il possibile, per interrompere questo scellerato progetto. Noi, con i sindacati, con le associazioni, con i comitati, con il Tavolo continueremo indefessi a difendere l’unità della Repubblica, cioè l’unità dei diritti fondamentali, a prescindere da dove si risiede e da dove si viene.
Noi sosterremo tutti e tutte coloro che in Parlamento, nelle istituzioni regionali e locali si batteranno contro l’AD. Noi, sacrificando danaro e tempi di vita, abbiano lo scopo di rimuovere diseguaglianze e difendere così la Repubblica dei diritti.
Chiediamo a tutti/e coloro che sono presenti in questa piazza di proseguire nell’opera di sensibilizzazione all’interno delle proprie organizzazioni per rafforzare una mobilitazione che deve raggiungere il suo scopo: impedire la realizzazione dell’AD.
A tutti/e noi si richiedono azioni, fatti. Noi siamo convinti che per tagliare alla radice il disegno di AD serva un taglio chirurgico come una legge di revisione costituzionale per cancellare il comma 3 dell’art 116.
Chiediamo ora ai parlamentari presenti di riproporla, per dare voce e rappresentanza alla nostra lotta.
Ci sono anche altre strade per ostacolare, erigere sbarramenti in modo da impedire a Calderoli di raggiungere il suo obiettivo: noi continueremo a mobilitarci e a seguire passo passo l’evoluzione del progetto, e dovremo per questo stabilire collaborazioni strette, senza ambiguità, in modo che la voce dei/ cittadini/e giunga al Parlamento. Per impedire la sovversione dall’alto dell’ordinamento costituzionale, stringiamo qui tra noi un patto per sconfiggere l’AD, per sconfiggere la ‘secessione dei ricchi’.
Estratto dell’intervento di Marina Boscaino di Micromega
in occasione della manifestazione del 23 dicembre 2022 a Roma, a cui ha aderito la nostra concittadina Prof. Flora Villani.
DOMANDE E RISPOSTE SU AUTONOMIA DIFFERENZIATA
- Che cos’è l’autonomia differenziata?
È il riconoscimento, da parte dello Stato, di una peculiare specificità di un territorio, mediante l’attribuzione in via esclusiva alla regione a statuto ordinario, di una potestà legislativa per le materie di legislazione concorrente e/o per tre di quelle di competenza esclusiva dello Stato. Ma ciò che più interessa le regioni è che, alla attribuzione della potestà legislativa, è connesso il trasferimento delle risorse finanziarie.
- Quanta parte dei rispettivi gettiti fiscali vorrebbero trattenere per spenderli sul proprio territorio?
Il Veneto ha chiesto di trattenere il 90% del gettito fiscale relativo ai cittadini ed alle imprese italiane che sono residenti, o hanno sede, in quella regione. Come se i cittadini fossero veneti, prima che italiani. In tal modo, si calcola, verrebbero meno circa 41 miliardi l’anno dalle casse dello Stato. Per quel che riguarda la Lombardia, invece, la perdita per l’erario dello Stato sarebbe di oltre 100 miliardi di Euro. L’Emilia-Romagna, infine, tratterrebbe 43 miliardi di euro. Considerando, quindi, le tre regioni si registrerebbe una perdita totale di 190 su 750 miliardi annui di gettito fiscale.
- Quali potestà legislative vorrebbero acquisire in via esclusiva sottraendole allo Stato?
Le Regioni hanno formulato richieste in parte diverse. In generale le materie a legislazione concorrente che potrebbero passare in tutto o in parte alle regioni richiedenti sono le seguenti (articolo 117 comma 3 Cost.):
rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
A tali materie le regioni possono chiedere di aggiungere tre materie attualmente di competenza esclusiva dello Stato: giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull’istruzione; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
- Quali regioni le chiedono?
Le regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno chiesto il trasferimento di potestà legislative e di risorse finanziarie. Il Veneto ha chiesto tutte le 23 materie previste dall’articolo 116 comma 3 della Costituzione; La Lombardia 20 (escluse solo: l’organizzazione della giustizia di pace; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale), l’Emilia-Romagna 16 (non ha richiesto: professioni; alimentazione; porti e aeroporti civili; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale). Successivamente anche la Campania ha chiesto che sua avviata l’istruttoria per alcune materie.
- Quali sono i vantaggi che porterebbe alle Regioni?
Coloro che sono a favore delle Autonomie Differenziate affermano che trattenere larga parte del gettito fiscale nel territorio si dovrebbe tradurre automaticamente in maggiore efficienza ed efficacia nella realizzazione di servizi per i (propri) cittadini, ovvero per gli italiani veneti, lombardi ed emiliani.
Come se non dipendesse dalle scelte, ma dalla disponibilità economica.
- Quali sono i vantaggi che porterebbe al Paese?
Ogni autonomia differenziata comporta sottrazione di ingenti
risorse finanziarie alla collettività nazionale e la disarticolazione di servizi ed infrastrutture logistiche (porti, aeroporti, strade di grande comunicazione, reti di distribuzione dell’energia, ecc.) che per loro natura non possono che avere una dimensione nazionale ed una struttura unitaria. Ma nemmeno la regione che ottiene l’autonomia se ne avvantaggia: sia perché il Sud è il mercato essenziale per il Nord, sia perché nelle stesse regioni “ricche” le condizioni interne tra le varie realtà territoriali non sono omogenee, e quelle più svantaggiate difficilmente riceverebbero compensazioni che, nell’ottica dell’efficienza andrebbero, invece, alle parti già più ricche e meglio organizzate, secondo la stessa logica. Inoltre, una Regione non ha alcuna possibilità di affrontare la competizione globale.
- Con l’autonomia differenziata le Regioni potrebbero interpretare meglio le esigenze dei propri cittadini?
Nel breve periodo è possibile che i veneti, i lombardi e gli emiliani possano godere di un effettivo maggior benessere, potendosi avvantaggiare di una quota cospicua di risorse che, invece, dovrebbero essere destinate alla redistribuzione sul territorio nazionale, ma al di là di ogni rilievo circa la violazione del principio di solidarietà sociale ed economica, al crollo sociale ed economico dei territori svantaggiati, non può che conseguire una crisi dell’intero sistema Paese.
- Perché anche alcune Regioni svantaggiate vorrebbero l’autonomia?
Nonostante le risorse per quei territori diminuirebbero, la potestà legislativa consente comunque un rafforzamento del controllo politico dell’elettorato e la gestione diretta delle risorse.
- Quali sarebbero le differenze tra un cittadino del nord e uno del sud?
Già oggi il divario è molto forte: Lo Stato spende per un cittadino del Centro-Nord 17.621 Euro, mentre per un cittadino meridionale 13.613 Euro. Pertanto, se lo Stato volesse spendere la stessa cifra pro capite senza togliere risorse al Nord, dovrebbe mettere a bilancio circa 80 miliardi in più per il Sud. Ma questa autonomia differenziata già solo per le intese con le tre regioni (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna) impoverirebbe le casse dello Stato per circa 190 miliardi che rientrerebbero nel bilancio di Veneto (41 miliardi), Lombardia (106 miliardi) ed Emilia Romagna (43 miliardi). Ciò concretamente significa che il divario si aggraverebbe ulteriormente, con l’arretramento della presenza dello Stato: meno ospedali, meno scuole, meno infrastrutture, meno asili, meno musei e università, laddove già oggi mancano e nessuna perequazione sarebbe possibile (*).
Cosa sono i LEP?
I LEP (Livello Essenziale nelle Prestazioni) sono indicatori della misura effettiva di diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, in modo uniforme, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali (federalismo solidaristico) e fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite. I diritti di cittadinanza, la cui determinazione è competenza esclusiva dello Stato attribuita dall’art. 117 Cost., si traducono essenzialmente nel diritto di tutti i cittadini all’assistenza sanitaria e sociale, all’istruzione, alle prestazioni previdenziali per i lavoratori e nella possibilità di fruire dei servizi essenziali in modo uniforme.
I LEP sono il necessario presupposto giuridico e sociale per l’autonomia differenziata ed occorre che siano individuati i livelli dei servizi, i relativi costi ed i fondi di perequazione.
Questi ultimi sono le risorse occorrenti affinché anche i territori più svantaggiati abbiano la possibilità reale di offrire quei servizi e garantire diritti in misura analoga a quella dei territori già avvantaggiati.
- Se si garantisse una spesa uguale per ogni cittadino italiano, l’autonomia non avrebbe più controindicazioni?
È un’ipotesi irrealizzabile, perché i conti pubblici non consentono di garantire sia il trattenimento delle risorse nelle regioni rese autonome che la contemporanea perequazione tra i cittadini ed i territori e comunque, l’autonomia differenziata da una parte contraddice e nega il principio di eguaglianza formale e sostanziale, dall’altra frammenta la naturale unitarietà funzionale delle infrastrutture del Paese, beni comuni della Repubblica, e dunque essa, anche al di là della disuguaglianza delle risorse economiche, crea disuguaglianze formali e sostanziali ed incide sulla funzionalità (e sulla competitività) delle grandi infrastrutture logistiche.
- È giusto che ad esempio per la scuola ogni regione decida per sé?
No. Infatti, si pretende di regionalizzare la vera e propria “spina dorsale” del Paese, la scuola statale, sostituendola potenzialmente con 20 sistemi scolastici differenti, attribuendo alle Regioni la potestà legislativa sull’intera materia: sulle norme generali, sulle assunzioni del personale, sulla valutazione, in tema di formazione. Insomma, sul come e sul cosa insegnare.
Si tratta di un approccio modesto ed egoistico verso una serie di funzioni che, al contrario, dovrebbero rappresentare uno strumento dell’interesse generale. La configurazione di 20 sistemi scolastici a marce differenti segnerebbe inevitabilmente il passaggio da una scuola organo dello Stato unitario e garante di un livello di istruzione analogo in tutte le regioni italiane, ad un sistema strutturalmente disuguale che forma studenti di serie A e di serie B.
Coloro che si trovano in basso nella scala sociale e vivono in un territorio svantaggiato non potranno più sperare che la scuola possa concorrere a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona.
Infine, verrà meno la possibilità di realizzare uno dei principali compiti della scuola, quello di formare il cittadino italiano.
- I porti su cui il Veneto vuole avere potestà regionale, sono del Veneto o di tutta l’Italia?
I porti di grande traffico non possono che rimanere nazionali, come è loro natura e come appare evidente dal fatto che le navi infatti battano la bandiera nazionale. Diverso discorso si può fare per i porti minori, soprattutto turistici, quelli che non vedono traffico internazionale e che potrebbero anche essere gestiti dalle regioni, e dalle articolazioni decentrate dello Stato, tenendo sempre fermo il concetto funzionale e di interesse pubblico, poiché ogni porto deve essere un luogo sicuro per la sicurezza delle navi e della vita umana in mare.
E i beni culturali, appartengono al territorio della regione in cui si trovano o sono Beni della Nazione, di tutti i cittadini del nostro paese?
E’ difficile davvero credere che un bene che ha valore culturale ed esprime quindi valori universali possa appartenere solo ad una regione. Il riparto delle competenze in tema di beni culturali tra i diversi livelli di governo della Repubblica, ossia Stato, Regioni ed Enti locali, non è privo di complessità. Tuttavia, il principio di leale collaborazione non consente che una regione si attribuisca in via esclusiva la “proprietà” di quei beni, ed infatti la giurisprudenza della Corte costituzionale ha definito il limitato spazio entro il quale una regione può valorizzarli.
Il conferimento della intera potestà legislativa in materia, e delle funzioni connesse alle regioni, andrebbe contro la natura stessa dei beni il cui valore risiede nella loro universalità, oltre che contro il dettato costituzionale come chiarito dalla Corte.
- L’autonomia differenziata è anticostituzionale?
Lo è certamente se la richiesta della Regione di potestà legislativa in una materia non risponde ad una necessità di adattare l’ordinamento a reali specificità territoriali. In questo senso, ed entro tali limiti, l’articolo 5 della Costituzione ammette che si limiti la unitarietà dell’ordinamento statale, l’eguaglianza formale dinanzi alla legge, per conformarsi ad esigenze particolari del territorio.
Diversamente, si tratterebbe in modo diseguale ciò che diseguale non è, e sappiamo che, trattare in modo eguale situazioni diverse è ovviamente incostituzionale, ma anche che è allo stesso modo incostituzionale ed ingiusto trattare in modo diverso situazioni uguali.
In definitiva, sono inammissibili, almeno per violazione del principio di eguaglianza, di unitarietà e di solidarietà economico sociale, le richieste di potestà legislativa autonoma che non si fondano su reali peculiarità territoriali che vanno verificate in concreto.
- Non sarebbe corretto estendere alle altre regioni le prerogative che hanno già le regioni e province autonome?
No, perché la Costituzione distingue le regioni a statuto speciale rispetto a quelle a statuto ordinario riconoscendo le specificità di quei territori, quindi non è possibile equiparare tout court tali regioni e province autonome con le altre.
- L’autonomia differenziata inserita in una norma di bilancio permetterà ai cittadini di chiedere un referendum abrogativo?
L’inserimento in norma di bilancio potrebbe fare ritenere, se si adotta un erroneo criterio formalistico, che quelle norme siano sottratte al referendum, in quanto collegate alla legge di bilancio; tuttavia, è chiaro che quelle norme hanno comunque natura diversa, essendo volte a disciplinare il quadro giuridico relativo al riparto di potestà legislativa tra lo Stato e le regioni e non c’è dubbio che i cittadini debbano potersi esprimere. Qualunque tentativo di impedirlo sarebbe chiaramente illegittimo.
- Sotto quale Governo è cominciato l’iter dell’AD?
La firma dei pre accordi risale all’inizio del 2018, con ancora in carica il Governo Gentiloni. In seguito sono state portate avanti dal Centro-Destra, in primis dalla Lega, ma anche dal PD con Bonaccini.
- Quali sono oggi le forze politiche favorevoli e quali contrarie alla AD?
Favorevoli, con alcune differenze, sono le forze politiche che sostengono il Governo Meloni: più apertamente la Lega con il ministro Calderoli.
Contrari erano i 5 Stelle, che ora, però, tacciono. Diverse le posizioni nel PD: favorevoli alcuni governatori del Nord, decisamente contrari quelli del Sud.
Cercare di bloccare l’autonomia differenziata è doveroso, ma dove stanno le responsabilità vere del tentativo, ormai molto concreto, di realizzarla?
Nel 2001, la riforma del Titolo Quinto della Costituzione, richiamata nell’articolo, fu fatta da un governo di centrosinistra, presieduto da Amato, per di più composto in prevalenza di ministri e sottosegretari provenienti dal centro e dal sud dell’Italia.
E’ ovvio che se un governo di questo genere predispone lo strumento; se il sud, col proprio voto discutibile, lo mette a disposizione della destra (per quanto votare la sinistra evidentemente non gli sarebbe servito a molto); se lo stesso sud non pretende dai propri eletti di tutelare gli interessi del territorio e i diritti dei suoi abitanti, prima delle carriere politiche; non ci dovrebbe essere molto da meravigliarsi se, a un certo punto, il nord riuscisse a scappare con la cassa.
Seguirò e sosterrò comunque le iniziative dei NOAD, sperando che si riesca a salvare il salvabile; ma sarebbe anche ora di dare ed esigere un pò di serietà.